Per ritornare

Era quel buio incerto delle prime ore del mattino: l'alba lontana cominciava appena appena a pennellare le montagne, lasciando intravedere un cielo imbronciato, bianco, gonfio di neve. L'aria gelida azzannava le carni e attanagliava le viscere, in una morsa spietata che lasciava senza fiato.
Lux cercò bruscamente di mettersi a sedere, ma le catene che gli serravano le mani ed i piedi lo trattennero, facendolo ricadere pesantemente al suolo.
- Non ti agitare fratello, per carità... Oh, no, eccolo che arriva... Chiudi gli occhi, taci, non rispondere, non muoverti, non fare nulla.. . qualsiasi cosa succeda - sussurrò, frenetica, una voce accanto a lui.
Lux si irrigidì istintivamente, lanciando uno sguardo furtivo in quella direzione prima di chiudere gli occhi. Gli parve di scorgere un uomo vestito di pelli lacere e insanguinate, steso proprio lì accanto, raggomitolato, come se anche lui fosse legato da una catena.
Il dolore al fianco fu improvviso, lancinante e assoluto.
- E allora, bella bambina, hai fatto forse un brutto sogno? Vuoi che paparino ti tenga la mano per farti riaddormentare? -
La voce era aspra, nasale, ruvida. Era fatta di disprezzo, ironia, malvagità.
Non aveva mai sentito nulla di simile, in vita sua: per questo, nonostante l'avvertimento volle guardare.
Per sua fortuna, l'altro in quel momento stava osservando la zona intorno girando lentamente il capo coperto dall'elmo: le mani sui fianchi, il corpo eretto, l'espressione sprezzante. Lux richiuse immediatamente gli occhi: in quel momento un nuovo calcio lo colpì nel fianco e dovette lottare con tutte le sue forze per non ribellarsi.
Intorno a lui un silenzio innaturale, terrorizzato. Mortale.
L'assenza di ogni reazione da parte del prigioniero parve tranquillizzare l'uomo, che si avvolse nel suo pesante mantello rosso, e si allontanò, facendo scricchiolare l'erba congelata sotto le suole delle sue caligae.
Lux sentiva il cuore battergli freneticamente nel petto: gli era bastata una sola occhiata e lo aveva riconosciuto. Poteva essere solo uno di loro... E non era un'imitazione da film in costume o da festa mascherata.
Era assolutamente, letalmente vero. Era l'espressione vivente del suo popolo, della sua stirpe di conquistatori e razziatori.
Era il mattone con cui la sua gente aveva edificato un Impero: un legionario romano.

Se ne stava seduto tranquillamente, lasciando che le ombre della sera gli accarezzassero il viso... Andrea e GianLuca, il cuore stretto da una morsa, si precipitarono verso di lui, ma quando gli furono ben vicini si resero conto che quello che avevano temuto era la realtà. Non era Lux, ma un uomo che aveva gli stessi capelli, forse gli stessi tratti del viso, ma non era lui.
Era anziano, di un'età indefinibile eppure vigoroso; emanava un'aura al contempo di forza e di tranquillità.
- E tu, lei? insomma chi sei? Che ci fai qui? E soprattutto, dove è Lux? Questi sono i suoi vestiti e se gli hai fatto qualcosa io.... -
GianLuca stava passando rapidamente dallo stupore all'ira, mentre il terrore che al suo amico potesse essere capitato qualcosa di grave cominciava a farsi strada nel suo animo.
L'uomo aprì gli occhi: erano verdi come le foglie del bosco dei sogni e spruzzati di stelle, ogni stella un ricordo.
- ...Tu cosa, figlio mio? Il tuo compagno è ormai morto, per te. O non hai detto così non più tardi di una manciata di minuti fa? -
La sua voce era fatta vento e di profumi dimenticati, di cime innevate e di terre perdute. - Come... come lo sai .. - balbettò GianLuca intimidito, mentre il cuore cominciava a battergli forte...
- Dicci dov'è Lux, vecchio, e non chiameremo la polizia... A noi basta che ci dici dove lo hai messo... Sempre che tu non lo abbia ucciso per impossessarti dei suoi abiti... - disse d'un fiato Andrea, con durezza.
- Quello stesso Lux il cui tradimento vi brucerà nell'anima finché vivrete? -
Non c'era ironia nella sua voce, solo una pacata curiosità.
- Come fai a... l'ho detto cinque minuti fa....- esclamò Andrea, facendo istintivamente un passo indietro...
- Le parole dette restano nell'aria... ma se non c'è qualcuno che le ascolta finiscono per morire... Io ho sempre amato le parole... -
- Senti, vecchio, se stai cercando di spaventarci... - iniziò GianLuca - ... ci sei riuscito benissimo, almeno per quel che mi riguarda.... - borbottò Andrea, appoggiandosi ad un antichissimo muretto di pietra.
GianLuca voltò di scatto la testa, guardando risentito il suo compagno, e per un istante sembrò voler ribattere, poi disse:
- Mi arrendo. Chi sei? -
- Penn, o Penninus, come vuoi, figlio mio. Sono un dio ormai dimenticato . Un dio che si fece uomo per morire con la sua gente, per non sopravviverle... -
I due giovani uomini si guardarono inebetiti negli occhi: non tanto per le parole del vecchio, ma perché sapevano perfettamente che quel che aveva detto, era vero.
Andrea boccheggiò per riprendere fiato, poi disse con un filo di voce:... - Ma non eri il dio dei ... Salassi.... Salassi? Ma dove ho letto questo nome? Aspetta, al museo di Aosta... Ma non siete, non eravate... Oh, insomma, non era una popolazione celtica che abitava la Val d'Aosta, e che fu sterminata dai Romani? -

La nevicata incessante che si era abbattuta sulla zona aveva costretto i legionari del console Aulo Terenzio Varrone, ad ordinare una sosta forzata alla colonna di schiavi in marcia verso Eporedia.
Riparato alla bell'e meglio da una serie di improvvisate tettoie, il popolo dei Salassi, o forse quello che ne restava, giaceva incatenato e ferito, ormai spento per sempre, in attesa che il suo atroce destino giungesse al suo compimento.
Lux, battendo i denti dal freddo e dalla febbre si strinse addosso le rozze coperte che i suoi compagni di sventura avevano messo insieme per lui... Nonostante si fosse svegliato con addosso degli abiti fatti di pelli, il freddo insopportabile lo rendeva incapace di muoversi e quasi di parlare: per questo il popolo, a prezzo di sacrifici inauditi, aveva rinunciato ad alcune delle sue coperte...
- Ho la febbre, ma so che non sto sognando... Tra me e voi ci sono più di duemila anni di tempo... Che cosa ci faccio io qui, come ci sono arrivato... e soprattutto, perché? -
L'uomo accanto a lui, quello che lo aveva aiutato durante l'incontro con il legionario scosse la testa: i suoi lunghi capelli, un tempo neri e fluenti, erano diventati prematuramente grigi e spenti.
- Non conosco risposta a queste domande, fratello - disse con un sospiro, cercando di trovare una posizione meno dolorosa per il suo braccio che andava incancrenendosi - Posso solo dirti la nostra storia: eravamo un popolo forte e fiero, signore di queste meravigliose montagne. Un giorno arrivarono i Romani e la loro sete di conquista.
Ci siamo opposti con tutte le nostre forze alla loro invasione, per anni e anni. Alla fine dove non ha potuto la fame o la mancanza di sale, ha potuto il tradimento.
Il tradimento di Aulo Terenzio Varrone, il console romano responsabile di tutto questo. - Nonostante il gelo e la neve Lux si sporse leggermente dal suo riparo e osservò un mare sconfinato di tettoie di pelli coperto di neve, sotto cui un intero popolo moriva e marciva, in attesa di un destino peggiore della morte.
I bambini si lamentavano piano per la fame, nel loro sonno forzato, mentre i guerrieri feriti, coraggiosamente, cercavano di dimenticare il dolore del male che azzannava le loro carni, e consolavano le donne ormai distrutte.
Accampata poco distante la guarnigione dei soldati si scaldava attorno ai fuochi, mentre le guardie infreddolite battevano i piedi per impedire che gelassero.
Ritirò la testa sotto la tettoia.
- Un tradimento? - chiese con un filo di voce. L'altro annuì.
- Ci promise la pace, in cambio di un semplice tributo... E nel momento di sancire l'accordo i legionari sguainarono le spade che avevano tenuto nascoste e trucidarono i nostri migliori guerrieri, che avevano mantenuto la parola ed erano arrivati disarmati... -
Lux chinò il capo... La solita vecchia storia.
- Questo lo capisco, ma io ... che c'entro'? - chiese d'un fiato.
L'altro fece per rispondere quando il rumore degli zoccoli di un cavallo lo zittì di colpo. Gli fece cenno di tacere, poi con cautela i due sbirciarono fuori dal loro precario riparo. L'uomo era ritto sul suo cavallo candido come la neve che aveva iniziato a diradarsi. Il suo viso tondo e glabro era sormontato dall'imponente cimiero ed il corpo robusto era avvolto da un pesante mantello rosso. I suoi occhi gelidi e soddisfatti scrutavano l'accampamento, evidentemente lieti di quell'infinita miseria.
Lux riconobbe le insegne consiliari e capì che quell'uomo spietato non poteva essere altri che Varrone.
Per un brevissimo istante i loro occhi si sfiorarono ed il cuore di Lux diede un tuffo: quell'uomo era assolutamente identico a Terenzi... laggiù, in un futuro lontano...
Un frullare d'ali attirò la loro attenzione: nel cielo volava una maestosa aquila bianca: ma il suo volo era basso, troppo basso... E la lancia di Varrone troppo assetata di sangue.....
Lux fu spinto nuovamente sotto la tettoia dal suo compagno e non vide il fiero animale macchiare del suo sangue la neve bianca.
- Quell'uomo... era Varrone, vero? - chiese in un sussurro.
L'altro annuì. - E l'aquila è l'ultimo segno che attendevamo... Abbiamo poco tempo… Ascolta… Per i romani tu sei Penn, il vecchio druido, e il tuo... il suo destino sta per compiersi... -
Un brusio parve attraversare la colonna di schiavi, un brusio che lentamente, dapprima incerto e poi via via sempre più sicuro, divenne un canto...
Un inno meraviglioso che narrava di un popolo e della sua vita, di quel che era e di quello che sperava, di quello che avrebbe potuto diventare e di quello che non fu mai...

- Dio del Cielo, se tu sei qui, allora dov'è Lux?... - chiese d'un tratto, terrorizzato GianLuca.
Penn sorrise ancora.
- È con la mai gente, laggiù, sul fondo del tempo... Quando scrutai per l'ennesima volta la trama del Destino, e scorsi l'ineluttabilità dei tempi a venire, scesi tra la mia gente e divenni uno di loro, per morire con loro. Di me e del mio popolo non sarebbe rimasto non è rimasto nulla. Nemmeno un ricordo. Allora unimmo i poteri che mi restavano e la nostra disperazione, e cercammo lungo i sentieri del tempo qualcuno che fosse nostro testimone. Abbiamo composto una canzone...-

- ... è Il Canto dell'Abbandono. È l'ultima creatura del nostro popolo, e l'abbiamo creata apposta per affidarla a te. La musica della tua essenza ci ha chiamati, oltre le porte del tempo... Un dio ha accettato di morire, perché questa canzone vivesse... E con essa il nostro ricordo... Portala con te nel tuo futuro, e cantala... Noi rivivremo in essa... E saremo felici... Saremo liberi.... -
Il canto ormai era diventato quasi tangibile, una sorta di coperta di sole che copriva la misera colonna di schiavi.
Impazziti dall'ira e dalla paura i legionari correvano, armati di scudiscio, dall'uno all'altro dei Salassi che incuranti del freddo e dei colpi si erano liberati delle tettoie e cantavano. Tentarono in tutti i modi di zittire le voci, ma nulla poteva fermare il canto destinato al futuro...
- È quello stramaledetto vecchio... - urlò una voce più forte di tutte... - È di nuovo lui... cercatelo e portatemelo.... -
- È qui, console Varrone - disse una voce vicinissima e concitata.
Terrorizzato Lux vide la tettoia volare via, e due legionari dal viso sfregiato e gli occhi vuoti afferrarlo e trascinarlo via.
- Non aver paura, uomo del futuro, e ascolta, ascolta. Non dimenticare... - urlò lo schiavo suo compagno, prima di cadere trafitto dalla daga di un legionario.
Il canto era un'onda impetuosa che si allargava verso il cielo e verso il futuro.
- Per gli dei, crocifiggete quel dannato vecchio. Vediamo se avranno ancora voglia di cantare, quando il loro druido subirà il supplizio. E fate presto, prima che questo canto ci getti addosso qualche maleficio.... -
Spinto, trascinato, colpito in maniera concitata Lux scivolò più volte sulla neve e sul proprio sangue, finché non fu portato al cospetto del console romano.
Gli occhi di ghiaccio di Aulo Terenzio Varrone, o erano quelli di Terenzi ? gli si piantarono addosso, feroci e privi di pietà.
- Se riesco a tonare a casa quei soldi li brucio... altro che contratto con Terenzi - pensò irrazionalmente Lux.
Mani frenetiche lo afferrarono, gli strapparono le catene e lo scaraventarono su di una croce improvvisata.
- Console, non potremo piantare la croce, il terreno è troppo duro - urlò qualcuno . Il canto pulsava inarrestabile, ed era proprio come la vita. - Devo ascoltare, devo ricordare.... -
- Allora gettatela dal dirupo...Vedremo se avranno ancora voglia di cantare quando il loro druido si schianterà sulle rocce - urlò ancora più forte il console.
- Ascolta il Canto dell'Abbandono, non pensare ad altro... - si ripeteva Lux, battendo i denti per la paura, il dolore e il gelo.
Ecco le corde: ruvide, taglienti, che lasciano il fuoco dove passano.... Che segano la vita, i polsi le caviglie...
- Oh dio aiutami... Io ricorderò... -

Sorrideva mentre i suoi occhi vagavano, scrutando i tempi che furono e che saranno. - Che strano destino, figli miei - disse con voce dolce... Un dio dimenticato, fattosi uomo, venir torturato ed ucciso su di una croce e di lui si perderà ogni ricordo, tranne sottili fili di dolore che si dipaneranno nei millenni a venire. E che talvolta si intrecceranno con l'esistenza di qualche anima errante.
Poi un nuovo dio, fattosi uomo, verrà torturato ed ucciso sulla stessa croce, dagli stessi assassini, ma il suo non sarà lo schianto di una vecchia quercia sotto un uragano.
Il suo sarà un seme che germoglierà e darà frutti, buoni e cattivi, ma che sapranno fecondare il mondo.... -
I suoi occhi verdi come le foglie del bosco e spruzzati di stelle si posarono per l'ultima volta sui volti rigati di lacrime dei due giovani musicisti, poi sorrise ancora e lentamente, lentissimamente cominciò a svanire, a divenire immagine sbiadita, contorno immaginato, fumo... nulla.
- Noi non ti dimenticheremo - urlò con quanto fiato aveva in gola, alla notte intorno, GianLuca.
- Mai - sussurrò al suo cuore Andrea.

- Ragazzi, cosa ci fate voi qui? - chiese d'un tratto una voce.
Ed era la voce del loro caro, vecchio, stramaledetto Lux.
Lux sano e salvo, dal viso acceso e con negli occhi qualcosa di indefinibile...
- Si, ragazzi, spiegatelo anche a me: che cosa ci fate qui? - esclamò autoritaria una voce alle loro spalle.
Non ebbero il tempo di stupirsi, di parlare, di abbracciarsi o di raccontarsi. Si voltarono di colpo e lo videro.
In una mano aveva la pila, nell'altra uno sfollagente: era il custode che poco prima forse una vita prima aveva chiuso il parco archeologico.
- Ci scusi agente... Ci siamo completamente persi... Meno male che è arrivato lei perché... Sa abbiamo un concerto... - cominciarono a parlare tutti assieme, come facevano sempre quando volevano disorientare qualcuno.
Ci riuscirono anche quella volta.
Il guardiano, stranito, si lasciò stringere la mano, annuì ai ringraziamenti ed alle pacche sulla schiena e li vide letteralmente schizzare fuori dal cancello come se avessero tutti i diavoli dell'inferno alle calcagna.
Attraversarono di corsa la via deserta, come tre monelli di strada, poi si guardarono negli occhi...
Stavano per cominciare a raccontarsi, l'uno con l'altro, quello che era accaduto quando un pensiero fulmineo esplose nelle menti di tutti e tre. Guardarono automaticamente i loro orologi. - Santo Cielo, il concerto.... -
- Rosalba ci ucciderà. - urlò Lux riprendendo la corsa, stavolta verso Piazza Chanoux.
- E dopo ci ucciderà G.B. - rincarò la dose GianLuca, iniziando a correre a sua volta.
- Abbiamo solo un'ora di ritardo... Coraggio: magari ci uccideranno dopo il concerto - urlò infine Andrea, inseguendo i suoi amici.

La folla in piazza rumoreggiava: gli altoparlanti continuavano a mandare musica di ogni genere per cercare di guadagnare tempo, ma la gente che si assiepava sotto le strutture tensioattive, giunta anche da lontano per ascoltare il concerto del Gruppo, ormai aveva esaurito la pazienza. I tre musicisti arrivarono dietro al palco praticamente senza fiato.
Rosalba, pacata e tranquilla nel suo abito di scena non fece commenti: si limitò a sorridere e ad indicare loro gli strumenti che attendevano in un angolo, poi fiera e dal piglio deciso salì sul palco e si avviò verso il microfono.
- ...non sperate di averla fatta franca... Dopo il concerto, se non vi ammazza lei lo faccio io.... - sussurrò G. B. con tono mielato, avviandosi a sua volta verso il palco.
Quando finalmente ebbero preso posto, un istante prima che il silenzio calasse per dare spazio al primo pezzo strumentale, Rosalba guardò i tre giovani, e scrutò attenta i loro volti, accesi ma finalmente in pace.
- A quanto pare, ragazzi, avevo ragione; non era proprio il caso di metterlo in croce anzitempo... vero? -
Lux rabbrividì. Rivide il viso feroce di Aulo Terenzio Varrone e risentì il morso delle corde attorno ai polsi...
Poi chiuse gli occhi, fece un passo verso la luce del riflettore e aggrappandosi alla sua cornamusa diede inizio al concerto.
Si rese subito conto che non era la sua solita canzone. Il suo cuore, non la sua mente, stava comandando alle dita un nuovo accordo.
Era Il Canto dell'Abbandono.
Non l'aveva mai suonata prima, e chissà, forse qualche nota se ne sarebbe andata per conto suo...Ma le sue dita erano sicure e veloci, e il suono usciva rinato dalle canne del suo strumento ed era la voce di un popolo perduto, il canto dei suoi sogni, l'eco delle sue risate, il sottile scorrere delle sue lacrime....
Quando l'ultima nota si spense Lux riaprì gli occhi.
I suoi compagni sul palco lo guardavano stupiti, mentre la folla applaudiva frenetica.
Il giovane guardò le ombre della notte e li rivide.
I Salassi erano tutti lì e piangevano. Di gioia, perché adesso la loro canzone era rinata. E il loro ricordo con essa.
Finalmente erano liberi.


Nota:
L'Autrice per questo racconto si è ispirata alla partecipazione del Laboratorio Musicale del Graal al Festival Celtique di Aosta del 1998. L'anno dopo, il gruppo musicale ha aperto il suo concerto al Festival Celtique di Aosta con il brano per cornamusa "Farewell Lament" (il Canto dell'Abbandono) di Luca Colarelli, ispirato al racconto di Anna Maria Bonavoglia.