I campi della memoria - Franco Vassia

Alle radici della musica popolare: la musica celtica

da "I Campi della Memoria" - Ed. Electromantic Music

Il Tempo della Semina
Rosalba Nattero è una donna dolcissima che sembra appena uscita dalle brume di un castello o da un lago incantato. La sua voce ha il calore delle storie narrate intorno al fuoco dei bivacchi e il colore della curiosità.
In un mondo dove, per carpirne vantaggi, gli uomini assumono sembianze mascherate a comando, a lei risulta estremamente difficile mimetizzare la passione e la cura per le cose in cui, da molti anni, è attenta ricercatrice.
I suoi non sono concerti ma fedeli trasposizioni di feste popolari, macchiate di balli e screziate dai canti della corte. La sua voce, intensissima, dispensa unguenti per lenire il bruciore di gelate precoci.
Assistere ad una performance del Laboratorio Musicale del Graal è come discendere i gradini di un passato racchiuso nella memoria e ritrovarsi in un'altra dimensione, costeggiare muri di gesso ed entrare in città di vetro.
I musicisti, bravissimi, che formano la sua compagnia, sembrano essere i discendenti diretti di quelle saghe nordiche passati attraverso fuochi e specchi fatati, non escludendo che un tempo si siano rifocillati attorno ad un tavolo privo di angoli.
Il cavaliere nero è Luca Colarelli, splendido nella sua armatura, sopravvissuto, per andare alla ricerca del Graal, ad una sfida mattutina con il rock più pragmatico.
Quando traccia i limiti colorati (l'inizio e la fine della festa), Luca è armato di bagpipes e Dark Island non è più soltanto un brano ma diventa tuono e tempesta, vento caldo e neve fresca. In un angolo, Giancarlo Barbadoro, quasi un Mago Merlino di suono e di scelta, sembra accudire e proteggere la compagnia. Northern Wind, il loro ultimi lavoro, non è neppure un album. Northern Wind è tutto questo.


Il Secondo Tempo della Semina
Per tutti coloro che hanno ancora qualche rivolo di sangue nelle vene, assistere ad un concerto di musica celtica e, nella fattispecie, al Festival Celtique (patrocinato dalla Regione Autonoma della Valle d'Aosta e dalla Presidenza del Consiglio), è quanto di meglio si possa desiderare: due giorni di festa (5 e 6 settembre) che hanno monopolizzato e coinvolto la quotidiana e tranquilla realtà del capoluogo valdostano.
Il Laboratorio Musicale del Graal, capitanato da Rosalba Nattero, è stato l'ensemble che ha maggiormente impressionato il folto pubblico presente (Rhiannon, Trouver Valdoten, Mag Mor e Myrddin Quartet i gruppi partecipanti, tutti degni di plauso e di menzione), catalizzando l'attenzione in un clima divenuto ben presto surreale. Durante la loro lunghissima performance (dovuta soprattutto ai numerosi bis), il Laboratorio Musicale del Graal ha accostato al genere celtico, particolari aperture e notevoli contaminazioni in cui il rock non è più soltanto un parente povero. Inoltre, supportati da un corpo di ballo dell'area celtica, hanno coinvolto l'intera piazza in una danza collettiva ed entusiasmante, obbligando gli organizzatori, per far quadrare i tempi, a far slittare i concerti successivi.


Alla Ricerca del Graal
F.V.: Qual'è il segreto che ha permesso alla musica celtica di riappropriarsi delle proprie radici, delle sue storie e di tutta quella cultura che, per troppo tempo, è stata sepolta nella polvere, mentre oggi sta diventando un fenomeno quasi di massa, arrivando a coinvolgere anche le nuove generazioni?

R.N.: Diciamo che nella musica celtica, se proprio si vuole andare al cuore del suo messaggio, c'è un impeto ed un messaggio che non lasciano tanto indifferenti... Oggi, evidentemente, c'era bisogno anche di questo momento. C'è il bisogno di parlare di tutta una serie di risvolti, sia sociali che quotidiani, ma anche di andare un po' più in là, in un discorso più rivolto all'anima.
Questo è il bisogno reale: non soltanto di azione, ma anche di silenzio. La musica celtica, secondo il mio punto di vista, può riportare a questo silenzio interiore perché contiene questo tipo di messaggio.

F.V.: La musica celtica ha anche saputo impossessarsi e riprendersi quel lato prettamente "corporale", cioè quello legato alla danza. Per troppi anni i balli sono stati associati al disimpegno sociale: le discoteche, i sessi separati, i ragazzi di qua e le ragazze di là, il dialogo negato... Queste danze, che hanno come riferimento l'area e la cultura celtica, hanno il potere di coinvolgere le masse come è successo durante la vostra performance...

R.N.: Questo non può che farci piacere, anche perché è una musica che si rivolge a tutti gli strati sia sociali che generazionali. I nostri concerti sono frequentati da gente di ogni tipo e di ogni età e si trovano legati da una esperienza comune. Noi stessi ci ritroviamo legati al pubblico in un evento che diventa esperienza fatta insieme. Non c'è il pubblico passivo ed il musicista attivo: è un tutt'uno che rimane, che lascia un'impronta...
Devo però aggiungere che questo non nasce soltanto da una nostra ricerca nel campo musicale, ma in modo più profondo: nella ricerca di quelle antiche tradizioni che hanno ancora qualcosa da dire di vivo e non soltanto folklore. C'è un'anima che è molto viva, quest'oggi, e che va ricercata un po' più in là dell’ovvietà. E non si trova soltanto nella musica ma in tantissimi tipi di cultura. Con continuità, noi frequentiamo sia le culture del Nord Europa che quelle dei nativi americani...Oppure siamo interessati agli aborigeni australiani. Ci sono dei legami e, evidente, c'è una matrice comune che è tutt'altro che morta. Va soltanto ricercata al di là di quella coltre di appannamento e di ovvio che è la cultura imperante.

F.V.: Una caratteristica, ovvero, "la caratteristica" che vi separa dagli altri gruppi del settore, è questo "impeto musicale", questo coinvolgimento globale che è una comunione di alti e di bassi, di esplosioni epiche e parti più intime, quasi minimaliste...Una differenza sostanziale rispetto a tutti quei gruppi che si limitano a riprodurre nude sonorita' con gelida elaborazione, ripercorrendo trame didascaliche, forse troppo ancorate alla stesura originale.

R.N.: I gruppi che fanno musica celtica hanno, a mio avviso, un notevole complesso: quello di non essere irlandesi, bretoni o scozzesi. In realtà, non occorre essere irlandesi o bretoni od essere nati in particolari latitudini o longitudini... Quello che noi trasmettiamo ce l'abbiamo dentro e la musica celtica non è un qualcosa che si deve andare a copiare da qualche parte. È un qualcosa che esiste dentro di noi. In fondo, è una cultura che ci appartiene, che è passata da queste parti e che c'è tutt'ora. E poi, non si tratta soltanto di musica celtica, si tratta proprio di andare a ricercare il messaggio di una certa cultura che è, poi, il messaggio che abbiamo dentro di noi, cioè quella ricerca che da' spazio a quel silenzio interiore di cui tutti abbiamo bisogno.

F.V.: Un personaggio molto importante che è sicuramente servito a riattivare questo interesse per la musica celtica è stata sicuramente Loreena McKennitt. Anche in lei si possono ritrovare tutte le simbologie del viaggio, della ricerca, della conoscenza... Nei vostri album c'è scritto: "Canti tradizionali della Scozia, dell'Irlanda, della Bretagna, della Provenza, delle Asturie, del Canton Ticino, dei Paesi Baschi". Siete i depositari di una visione comune, quasi da villaggio globale e, tutto sommato, parecchio distanti dai gruppi che si limitano a snocciolare album a ripetizione e fatti in copia carbone...

R.N.: È vero. Infatti, come hai notato, nelle nostre rassegne presentiamo musiche provenienti da tutte le varie nazioni celtiche. Questo, in particolare, non perché siamo fissati con il celtico, ma perché ritroviamo in posti diversi lo stesso tipo di messaggio ed è quello che a noi interessa. Andare, appena un po' più in là della bandiera territoriale o geografica, a cercare un messaggio che evidentemente c'è. Così come c'è nel Nord Europa. Esiste anche tra popoli lontanissimi tra di loro, ma esiste. Prima parlavi di coinvolgimento quasi fisico con il pubblico: in effetti c'è bisogno anche di questo. Purtroppo non siamo più abituati ad avere un tipo di rapporto con gli altri. Abbiamo bisogno di un rapporto basato non solo sull'apparire ma proprio sull'essere; sul trasmettersi reciprocamente qualcosa, concedersi reciprocamente...
Anch'io, con piacere, noto che in queste occasioni cadono molte barriere. Non ci si guarda soltanto per quello che appare, ma per quello che si è ed è molto facile essere disponibili gli uni verso gli altri... Forse, anche qui, si tratta di andare un po' più in là di certe barriere che, purtroppo, nella cultura di oggi, esistono. Nel messaggio che noi proponiamo c'è anche questo: c'è la voglia di provare ad andare verso il rispetto per gli altri... verso altri esseri umani... Ci occupiamo anche di animalismo, che è una delle cose che sentiamo con particolare passione. L'amore per la natura, l'amore per gli animali, l'amore per gli altri esseri... Trovo che sia qualcosa che arricchisce profondamente noi stessi. Forse è anche questo che cerchiamo di proporre nei nostri spettacoli. Il messaggio, prima o poi, è destinato ad arrivare.

F.V.: Si può quindi asserire che esiste un filo conduttore che vi lega alla musica ed ai valori degli anni Sessanta. Anche allora queste tematiche erano particolarmente sentite, ed erano un contenitore di valori assoluti e appena elencati: l'aggregazione, il dialogo, l'amicizia, la stagione dell'amore. Un collante di attinenze progressive che, oltre a contenere vaste aree emozionali nel loro interno, lasciano piena liberta' all'ascoltatore nelle parti non cantate, fino a farlo diventare parte integrante del momento. Un'unione globale e carismatica fra artista e pubblico.

R.N.: Certo! Il tipo di ricerca che noi facciamo è orientato a qualcosa di più che non all'ambito strettamente musicale. Ci occupiamo anche di meditazione ed anche questa, per noi, è stata una notevole impronta. Il lavoro che fa Giancarlo, con la musica per meditazione, produce degli effetti molto vicini a queste tematiche.

G.B.: Diciamo che la musica che noi facciamo, senza presunzione, è molto viva. Non andiamo a rispolverare delle cose per poi riproporle in maniera più efficace, ben fatte e ben articolate, musicalmente parlando.
Noi vogliamo trasmettere, a coloro che ci ascoltano, la nostra anima. Un'anima che è molto viva. Infatti, la meditazione si integra benissimo con la musica celtica, perché' altro non è che la ricerca di se stessi, al di là dei dogmi e dei parametri morali che qualcuno può tracciare. La meditazione è una condizione di vita, un rapporto preciso con la natura e con il mistero che, eventualmente, essa può manifestare sul senso logico della nostra esistenza. Con questa chiave, noi possiamo scavare dal di dentro la nostra esperienza e portare determinate cose all'esterno. È un'esperienza comune molto viva, che è basata sia sull'esperienza individuale e personale di ciascuno di noi ed anche sull'esperienza di aggregazione. Quando suoniamo, ci divertiamo, giochiamo tra di noi. A volte il pubblico non lo vede ma ci facciamo i dispetti. Giochiamo sul palco, non per estetismo musicale ma perché ci piace divertirci, ci piace giocare e ci piace giocare anche con il pubblico. Su questo telaio si intreccia la musica di cui, quando suono il flauto, mi faccio portavoce, a volte accompagnato da Luca con l'arpa e la balalaika. Cioè, una musica che mostra le due facce che può avere il celtismo. Quest'anima naturale che da una parte può essere vista come folk, dall'altra può essere vista come un qualcosa di sacro ma che, in fondo, riflettono quella quotidianità in cui tutti noi siamo immersi, in cui tutti noi viviamo e che, se affrontata senza remore, senza veli e senza varie schifezze, è vita, è avventura di vita, è gioia di vita.

F.V.: Nonostante molteplici iniziative editoriali (New Sound, Etnica, Avalon, Keltika, Etnica...), radio e televisione sono ancora tabù per questo genere musicale. O, per puro caso, qualcuno capita ai vostri concerti, oppure è costretto a fare i classici salti mortali per avvicinarsi alla musica e alla filosofia celtica. Abbiamo più volte rimarcato il successo dei Modena City Ramblers, il gruppo che meglio ha saputo amalgamare le sonorità irlandesi con uno stile gucciano, quasi un combo di import-export musicale. Per poter sviluppare una effettiva conoscenza della musica celtica, si dovrebbe iniziare con le giuste misure e con le giuste proporzioni.
Non si inizia a studiare dalla quinta elementare perché', altrimenti, si lascerebbe scoperto un buco di quattro anni.
Bisognerebbe ripartire con la storia dei popoli, lo studio degli strumenti, i crismi da adattare all'uso. Intervenire, in modo quasi chirurgico, sulle orecchie e sul cuore ma, soprattutto sull'anima.

G.B.: Anche perché facciamo determinate cose... Per esempio, girando il Nord, con molta amicizia, ci facciamo ospitare da famiglie di marinai. Alla sera andiamo, chiamiamole così, nelle bettole, a cantare insieme agli altri. Impariamo molte cose, soprattutto Rosalba

R.N.: Un certo spirito lo abbiamo catturato proprio là.

G.B.: Oppure abbiamo partecipato, dal vivo e dall'interno, a feste bretoni, riservate alle persone del luogo e dove i turisti non vengono ammessi. Siamo andati in Arizona ed abbiamo vissuto per due settimane con i pellerossa, vivendo con loro, vivendo la loro vita un po' poco agiata ma, dall'interno, abbiamo imparato molte cose, arrivando ad incidere una cassetta con musica pellerossa, ma senza manierismo, ma soltanto per mostrare un'opera che poteva anche essere musicale, testimone di uno spirito di narrativa e di vita.

R.N.: L'importante è catturare l'anima delle situazioni per cercare di riproporla secondo il proprio spirito, non facendone solamente delle fredde fotocopie.

F.V.: Nei concerti, in modo molto esauriente, siete soliti spiegare tematiche e storie che hanno dato vita ai vostri brani musicali. Quasi tutte le vostre canzoni si riallacciano quindi alla fantasia e alle tradizioni popolari.
Essendoci molteplici legami tra la nostra storia e quella celtica, c’è un fatto che vi ha particolarmente colpiti?

G.B.: È necessario ricordare che, circa mille anni fa, l'italiano era la lingua di corte degli inglesi. L'Italia aveva un'influenza politica notevole. La nostra lingua era parlata come oggi si parla l'inglese o, come qualche tempo fa, si parlava il francese. La lingua italiana, ai tempi di Camillo Benso, Conte di Cavour, era usata nelle corti, per cui c'è stata una forte penetrazione linguistica.
Ci sono moltissime parole inglesi e francesi che vengono usate sull'equivalenza dei vocaboli italiani e piemontesi.

R.N.: Tutte le canzoni hanno un contenuto che va un po' al di là di quello che appare. C’è una canzone, Yarrow, che parla di una storia apparentemente banale. Poi, riflettendo, dietro questa storia che parla di una donna che era venuta dal Nord ed era contesa da nove uomini si scopre, nel suo interno, un messaggio esoterico. Si possono leggere tutte le vicissitudini di Alba ,che poi è la Scozia, e quindi la storia di una terra con tutte le sue problematiche e delle lotte che hanno dovuto sostenere per sopravvivere. Dal mio punto di vista, moltissime ballate si sono appropriate di valenze che andavano ben al di là di quelle banalità verbali, a volte perfino esagerate.

G.B.: Le interpretazioni si ottengono dalla gente dei vari luoghi, dei posti in cui vivono... E, in genere, quasi nulla è inventato ma nasce dai ricordi e dalle tradizioni.

F.V.: Avete in programma qualche nuovo lavoro?

R.N.: Ci stiamo lavorando... È un nuovo CD che, in questo periodo, ci prende parecchio. Perché, come in tutte le cose, quando uno lavora ad una sua opera, la cura, la protegge. L'uscita è prevista per Natale o, altrimenti, nei primi mesi del prossimo anno.