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Pubblicato in 'E' Sempre Tempo di Eroi' - Ed. Il Cerchio IL TEMPO DEGLI EROI di Anna Maria Bonavoglia |
.. Una era Gea e la stessa una era Rea.
Danzavano insieme le sorelle attorno al rovente padre Nutritore e la loro danza era vita.
Poi corse Gea lontano, inseguendo una sfera di fuoco, e sola e triste rimase, la gemella, nella sua danza di rimpianto... Suo compagno fu allora il ricordo d’un altra se stessa che vagava perenne nei cieli opposti...
(Dal Sacro Testo delle Origini - Cap.II.)Il sangue e la polvere macchiavano il volto pallido del prigioniero: le guance scavate erano rigate da lacrime e sudore, mentre i lunghi capelli fiammanti, intrisi di sangue, cadevano in ciocche scomposte sulle spalle curve e scosse da tremiti.
L’Inquisitore si appoggiò soddisfatto contro il soffice schienale del suo scranno.
Gli occhi color del ghiaccio, illuminati da una spietata luce di follia indugiarono con voluttà sul corpo sottile dell’uomo che, come la marionetta di un gigante crudele, pendeva inerte, le gambe piegate e le braccia ferite sollevate, serrate alle spesse catene di bronzo che pendevano dalle umide mura della segreta.
“Dimmelo di nuovo, cantore - la sua voce era modulata, soffice come un drappo di seta e tagliente come le sottili lame del carnefice. - Raccontami ancora di come tu sia solo un musico ambulante...”
Si passò la lingua sulle labbra pallide, incurvate in un sorrisetto crudele.
“Anzi, canta... Deliziami della tua arte.- sibilò duro - E’ così piacevole stare in tua compagnia... E il suono della tua voce, sotto la sapiente guida del Mastro Carnefice mi è dolce come musica...”
Il giovane non si mosse, il capo abbandonato sul petto ferito.
L’Inquisitore scosse il capo, si mordicchiò assorto la punta di un dito curatissimo poi i suoi occhi ebbero un guizzo e si fermarono in quelli, attenti, del Mastro Carnefice.
L’uomo, che indossava spesse brache di cuoio e pesanti guanti decorati da borchie di metallo fece un passo verso il cantore, mentre il colossale petto, umido di sudore, brillò alla luce delle torce.
Con un unico gesto gli afferrò i capelli e gli sollevò di colpo la testa.
“Il Monsignore ti ha chiesto di cantare...”
Il giovane aprì gli occhi pesti, appannati da un velo di sofferenza.
Il suo viso era una macchia livida, contornata da una corta barba rossiccia incrostata di sangue e muco.
“Per amore degli Dei, Monsignore...- ansimò con voce rotta - Non vi ho mentito. Sono solo un musico girovago...Io...”
Il volto di pietra dell’Inquisitore divenne una gelida maschera di ferocia.
Un sorriso malefico gli sfregiò le labbra, poi guardò ancora il Mastro Carnefice ed annuì.
Quando le tenaglie arroventate azzannarono la carne martoriata del cantore un grido altissimo si alzò tra le volte della cella, echeggiando cupamente tra gli antri fumosi che si susseguivano nelle spaventose segrete del Palazzo.
E brividi crescenti di piacere cominciarono ad attraversare le membra frementi di Maxmus, Inquisitore supremo del regno.
Gli occhi color del fumo di Miriel la Cantatrice smisero di fissare le braci nel cratere di bronzo e si posarono, gelidi, sui volti ansiosi dei musici e dei danzatori seduti come lei nel cerchio della Vista.
Scosse lentamente il capo: c’erano troppe ombre e troppa magia nemica...
Erano passati ormai troppi giorni da quando il giovane Caled era partito: nemmeno una sbronza colossale o le soffici lenzuola di un bordello ospitale avrebbero potuto tenerlo per così tanto tempo lontano dall’accampamento, dai suoi compagni e soprattutto dal suo prezioso strumento... e un uomo non può restare così a lungo lontano dalla sua anima, senza impazzirne.
I carrozzoni dei musici e quello dei ballerini girovaghi erano arrivati nelle nebbiose terre della Contea di Nimia più per caso che per vera scelta.
La grande strada di pietra che conduceva alla mitica città di Taura all’altezza di una vecchissima torre di guardia si biforcava in due sentieri gemelli e divergenti: uno conduceva all’estuario del grande fiume ed ai mille sofisticati, turbinosi piaceri della capitale, l’altro si addentrava nell’entroterra, verso la solitaria Valle di Nimia e la sua antica città militare, Castrum Montana.
Nata come semplice acquartieramento, Castrum Montana - che tutti chiamavano Città della Fortezza - si era pian piano ingrandita e sviluppata fino ad estendersi lungo i fianchi della montagna dominata dal forte e in tutta la vallata sottostante, chiusa a nord dalle invalicabili montagne oltre le quali erano i gelidi ed selvaggi territori dell’Eterna Notte Qualcuno del gruppo aveva osservato, senza convinzione, che sarebbe stato interessante fare una sosta anche lì e Miriel La Cantatrice e Dubric il Bardo - guide spirituali del gruppetto - stranamente l’avevano trovata una buona idea: tutto sommato Castrum Montana era una città prettamente militare, appartata e visitata raramente dai viaggiatori, e forse gli abitanti avrebbero accolto con favore qualche spettacolo con canzoni sacre e le antiche ballate degli eroi.
Però l’esperienza accumulata nei lunghi anni in giro per le strade di Rea aveva loro insegnato che non era mai prudente addentrarsi in una città - soprattutto se mai visitata prima - senza un preventivo sopralluogo e magari una visita al capo spirituale o militare della città.
Solitamente questo compito era affidato a Dubric, l’imponente servitore del Dio Luce ai cui occhi nerissimi e penetranti ben poche cose riuscivano a sfuggire.
Per questo, quando giungevano nei dintorni di una nuova città, mentre gli altri tessevano una ragnatela di ombre con la quale celavano i loro carri, Dubric prendeva con sé l’insegna della congregazione dei Musicisti e si recava in esplorazione.
Ma quella volta, quell’unica volta, il vecchio saggio aveva ceduto alle insistenze del giovane Caled, e gli aveva permesso di recarsi al suo posto nella nuova città.
Misterioso e taciturno, Caled dalla rossa criniera non aveva alcun passato, nessun ricordo, come se li avesse cancellati per non morirne: solo i suoi occhi color dell’oro fuso, talvolta, quando la mente sfiorava distratta i segreti anfratti della memoria, diventavano splendenti, come scrutassero un grande amore o un dolore infinito.
Da quando era scomparso gli occhi di tutti erano spesso fissi sull’elegante cornamusa, appoggiata sul suo giaciglio come un’amante in attesa: si mormorava, infatti, di un oscuro ed arcano legame che univa lo strumento al giovane, e che la distruzione di uno sarebbe stata contemporaneamente la fine dell’altro.
Miriel La Cantatrice si alzò con un movimento morbido.
“Non riesco a vederlo. La magia che incombe in questa valle è troppo forte e troppo antica... Se cercassi di forzarla, rischierei di farmi scoprire.” Disse con voce modulata.
Hyede il Tonante scosse il capo.
“Dobbiamo cercarlo. Per i quattro Dei della Notte, se qualcuno gli ha fatto del male io...”. Il secco rumore del grosso ramo nodoso che si spezzava nelle enormi mani fece eco alle sue parole.
Miriel scosse il capo.
“Calmati Hyede. Lo cercheremo, stanne pur certo, ma dovremo farlo con cautela e attenzione, e senza dare troppo nell’occhio. Questo posto non mi piace e poi... non vorrei che fossero arrivati anche qui quei bandi di ricerca che abbiamo visto nelle ultime quindici città in cui ci siamo accampati...”
Heyde si batté i pugni sui poderosi avambracci, poi fece un sorrisetto feroce.
“Quei bandi parlano di un certo Arkenos, un pazzo assassino forte e furioso come un toro che ha massacrato diversi villaggi su a Badalaga. Io invece sono solo un povero musico ambulante, orfano e senza nessuno al mondo” concluse, sferrando un pugno di acciaio contro un giovane albero, abbattendolo.
L’abbronzatura e la corta barba castana riuscivano a malapena a nascondere le sottili cicatrici verticali che attraversavano il suo viso squadrato, molto simili a quelle lasciate dalle maschere di cuoio dei Gladiatori di Parr... La più mortale razza di mercenari che mai avesse calpestato il sacro suolo di Rea.
Dubric, che fino a quel momento se n’era restato in silenzio alzò le mani con un gesto lento e solenne poi disse con la sua voce pacata, che sapeva infondere la calma anche negli animi più accesi.
“Miriel ha ragione. Dobbiamo essere cauti... Quando spunterà l’alba io e lei andremo in città: anche se non abbiamo più l’insegna della nostra Corporazione, perché Caled l’ha portata con sé, il Salvacondotto dell’Imperatore Evan II ci proteggerà anche in questa terra...
Forse il ragazzo si è messo in qualche guaio con le autorità del luogo: con un po’ di fortuna lo ritroveremo in una cella, magari in attesa che qualcuno di noi vada a tirarlo fuori...
Silneus il Mistico mosse le lunghe dita sottili e livide, facendole danzare nell’aria con gesti veloci ed eleganti e subito ne emerse un suono modulato: la sua gente considerava la voce un suono impuro e recideva le corde vocali ai bambini appena nati, inserendo nelle loro mani quelle minutissime e dolorose lamelle che sarebbero diventate il loro unico mezzo di comunicazione.
Dubric sorrise lievemente, poi i suoi occhi profondi si posarono sui danzatori che se ne stavano seduti stretti l’uno all’altra , allungando le braccia sottili e tatuate con disegni oscuri verso il calore che emanava dal braciere di bronzo.
Da poco aggregatisi ai musici, non avevano mai nemmeno tentato di diventare parte del loro gruppo preferendo, durante i viaggi o nelle soste notturne, restarsene appartati, a celebrare strani riti per i loro Dei raminghi.
Una delle donne, che inalberava una scomposta cascata di riccioli color del miele su di un corpo flessuoso come un giunco dei fiumi, alzò gli occhi che splendevano immensi sul volto minuto e pallido e disse piano:
“Per noi va bene. Abbiamo imparato ad rispettare il giovane Caled, e poi le nostre danze hanno bisogno della sua musica...” la sua voce era roca e insicura, come quella di coloro abituati a tacere.
Gli altri ballerini annuirono, senza fare ulteriori commenti, e sul gruppetto di girovaghi cadde il silenzio.
Dubric non sorrise, poi si avviò lentamente verso il suo carro e Miriel La Cantatrice, che fino a quel momento aveva continuato a osservare il vento freddo tra le foglie degli alberi, lo seguì con un sospiro.
Gli occhi gelidi e feroci di Maxmus scivolarono maligni e sospettosi sui volti fieri dei due postulanti; si accarezzò il corsetto di pelle nera, morbido come seta frusciante, poi chinò leggermente il capo di lato e sospirò.
Il salvacondotto era autentico ed il potere dell’Imperatore Evan II era assoluto anche lì: nemmeno nell’isolata Valle di Nimia qualcuno poteva pensare di infrangerlo.
Con un sorrisetto affettato sulle labbra sottili si alzò dal suo comodo scranno che campeggiava nell’immensa sala di pietra e fece qualche passo, passandosi la mano guantata di nero sugli occhi stanchi: era stata una lunga notte...Si schiarì la gola poi disse con la sua voce morbida e tagliente allo stesso tempo:
“Per me va bene, cantori: non sia mai detto che Maxmus, Inquisitore del Regno e Reggitore della Fortezza di Nimia non rispetti gli ordini dell’Imperatore Evan. C’è giusto una piazza sterrata, poco lontano, dove potrete accamparvi: la mia gente sarà lieta di potervi ascoltare. Anzi, la prima rappresentazione la farete qui al palazzo e stanotte sarete miei ospiti: adoro le antiche ballate che parlano degli eroi, ed è tanto tempo che non ne sento una...
Dubric scrutò attentamente la figura robusta che gli si era avvicinata e suo malgrado rabbrividì.
In tutta la sua lunghissima vita non aveva mai percepito un’energia così totale ed assoluta, selvaggia quasi. Eppure imbrigliata da una volontà di acciaio, gelida come gli occhi che toglievano al suo viso ogni parvenza di umanità.
Anche Miriel aveva alzato gli occhi color del fumo ed aveva guardato l’Inquisitore oltre l’apparente aspetto fisico e per un lungo istante le era parso di osservare un sogno.
Due Aure: quell’uomo aveva una doppia corona attorno al suo corpo mortale, due anime, due spiriti eterni...
Un Eroe...non credeva che ce ne fossero ancora: si diceva che gli ultimi fossero stati distrutti nella Battaglia Innominabile, molti secoli prima, nell’ultimo scontro con gli eserciti del Bedai.
Rabbrividendo distolse lo sguardo dalla Visione: un Eroe, ancora uno. Come quelli cantati nelle ballate in ogni angolo di Rea.
Suo malgrado nella memoria si affollarono le immagini del glorioso esercito che partiva verso le Terre Oltre per fermare l’invasione dei Bedai.
Erano forti sprezzanti, fieri.
Campioni e sovrani delle loro terre si erano uniti alla Compagnia dei Prescelti ed erano andati incontro alla morte cantando, per difendere un sogno, un ideale, e la carne ed il sangue del mondo da un destino al di là dell’immaginabile.
Erano partiti, si erano più volte scontrati con le putrescenti orde del nemico, scoprendo ogni volta che la morte è ben altro che una canzone, ma avevano proseguito, fin nel cuore delle terre dell’Eterna Notte, fino alla Fortezza Centrale, per sferrare l’ultimo attacco.
E lì, in un’alba color del vino, ogni eroe aveva sguainato la sua arma, uscendo dalla Storia ed entrando, in quel preciso istante, nella Leggenda.
Il popolo dei Bedai non invase l’Impero, ma gli eroi non tornarono.
Mai più.
Miriel scosse leggermente il capo, per scacciare quei ricordi non suoi e forse qualche lacrima, e abbassò la testa come per cercare una piega sulla lunga veste nera che le copriva il corpo flessuoso.
Dubric, nonostante la massiccia mole e l’età si inchinò con eleganza poi disse cerimoniosamente:
“I tuoi desideri sono per noi ordini, mio signore, ma prima di ripartire verso il nostro accampamento vorrei rivolgerti una supplica...”
L’Inquisitore voltò di scatto la testa e il suo profilo si stagliò nella luce della feritoia nel muro: un volto duro e squadrato, tagliato con l’ascia nella pietra...
“Dì pure, musico...” la sua voce era incuriosita e guardinga.
“Uno dei nostri musicanti, un giovane prezioso e buon servo dell’Imperatore, è scomparso qui nella tua città. Sono diversi giorni ormai... Lo amiamo come un figlio, te ne prego: aiutaci a ritrovarlo...”
Maxmus rimase impassibile, non lasciando trasparire il minimo stupore.
Si limitò a socchiudere gli occhi feroci ed a scrutare ancora più attentamente le due figure che gli stavano davanti.
“Un musicante, dici? Ed è scomparso proprio qui a Città della Fortezza? Questo è molto grave: sono io stesso che mi occupo della sicurezza interna, e darò immediate disposizioni perché il vostro compagno sia cercato. Spero solo non si sia imbattuto in qualcuno dei malfattori che ancora si annidano nei bassifondi della città... Ordinerò immediatamente un’indagine e vi farò sapere.”
Non aggiunse altro e il suo silenzio fece capire che l’udienza era terminata.
Miriel, che era rimasta con il capo chino, non poté fare a meno di alzare lo sguardo sull’Inquisitore per vedere ancora una volta la doppia Aura degli Eroi.
Una delle due corone di energia risplendeva di una luce nera, mentre attorcigliata attorno a questa, era una meravigliosa corda di luce d’oro.
Gli occhi color dell’oro fuso splendevano sul volto tumefatto e seguivano, accesi da un nuovo barlume di speranza la robusta figura vestita di nero che, alla luce lattiginosa del giorno, camminava nervosamente su e giù per la stanza di pietra.
Quando, quella mattina, gli avevano staccato le pesanti catene dai polsi e lo avevano portato fuori dalle segrete, aveva pensato che l’Inquisitore non aveva più voglia di divertirsi con lui, e che l’ultima tappa del viaggio sarebbe stata l’ascia del Boia.
Invece era stato trasportato su per le innumerevoli, ripide scale di una torre, fino ad una stanza che, pur non essendo esattamente confortevole era pur sempre diversa dall’antro in cui aveva subito le sottili atrocità escogitate dal Mastro Carnefice e la feroce implacabilità di Maxmus.
Era stato proprio lì che, inaspettatamente, aveva ritrovato l’Inquisitore, che si era limitato a squadrarlo, scuotendo il capo, per poi iniziare a passeggiare in su ed in giù per la stanzetta, come preda di un dubbio lacerante.
D’un tratto si fermò vicino ad una delle feritoie nel muro, ed iniziò scrutare il cielo lontano.
“Sei un bel problema, musico” disse lentamente. “Perché sei effettivamente un musico - e per di più idiota - che si è fatto abbindolare dagli occhi di velluto di una puttana qualunque, giù alla locanda...”
Caled sussultò: tutto quello che ricordava erano un paio di occhi grandi e ardenti e delle labbra morbide, dolci come il miele.
“ E dopo averti drogato ti ha fatto spogliare dal suo protettore e ti ha scaricato nel punto più lontano della città.- proseguì l’altro - Dove ti hanno trovato le mie guardie... Bhe, se non altro il tuo ostinarti a non confessare non è colpa dell’imperizia del carnefice, o mia...”
Voltò la testa di colpo: un sorrisetto crudele a sfregiargli le labbra.
CaIed chiuse gli occhi per un istante, rabbrividendo al ricordo, poi sussurrò, muovendo a fatica le labbra spaccate e tumefatte:
“Allora è tutto a posto, Monsignore.”
Gli occhi di ghiaccio s’incupirono.
L’Inquisitore si voltò lentamente, poi incrociando le braccia sul petto disse a bassa voce: “Davvero, musico? Davvero credi che io possa lasciarti andare solo perché sei innocente?” Caled scosse la testa, stranito.
“No?” chiese con voce piatta.
L’altro non rispose: gli si avvicinò, invece.
Strinse lentamente i suoi occhi di ghiaccio, lasciò che lo sguardo scivolasse sul corpo lacero e ferito del musico poi si soffermò sul viso cercandone gli occhi color dell’oro fuso, per perdersi in essi, come a cercare qualcosa di lontano e dimenticato per sempre.
Caled ricambiò lo sguardo e rabbrividì, scrutando come in uno specchio le tracce di un dolore bruciante e lontano, ma implacabile, come quello racchiuso nella sua anima.
Per un lungo istante che parve ad entrambi un eternità, restarono immobili, l’uno a riflettersi nell’essenza nell’altro, luce ed ombra, gelo e calore, vita e morte.
L’inquisitore alzò una mano, come per colpire...
L’attimo passò: il sipario delle palpebre oscurò il mare di ghiaccio, Maxmus voltò il capo di scatto e si avviò verso la pesante porta, sospirando.
Uscì dalla stanza senza rumore, come una silenziosa ombra di morte.
| Per continuare... |